Un “selfie” nel passato 9

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Durante la visita al campo di Mauthausen e al memoriale di Gusen, mi sono sentito affranto al pensiero delle condizioni di vita degradanti ed inumane che dovevano affrontare tutti i giorni i prigionieri.
All’inizio della visita abbiamo avuto la possibilità di vedere un plastico di quel luogo e ci siamo resi conto che era davvero enorme. Le SS di Mauthausen avevano addirittura un campo sportivo dove sfidavano le SS di altri campi di concentramento e una piscina da utilizzare durante le giornate calde.
Aver visto le strutture presenti nel lager, come la “scala della morte”, ovvero questa
lunghissima scalinata di 186 gradini che i prigionieri dovevano salire e scendere decine di volte al giorno per trasportare i blocchi di roccia che servivano per costruire le mura del campo, ha fatto riflettere su quanto le persone possano essere insensatamente e deliberatamente crudeli.
Questa visita ha fatto venire i brividi, soprattutto quando abbiamo visto le docce per la
disinfestazione, la camera a gas, i forni crematori e il cimitero, che è veramente enorme.
È un’esperienza che non dimenticherò mai perché è stata interessante e intensa, ho terminato la visita con la consapevolezza che un’atrocità simile non si dovrà ripetere mai più.

Gabriele Salomoni, 3B “Panizzi”

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Vedere dove delle persone hanno vissuto, la guida che mentre spiegava aveva la voce tremante dall’emozione e la gente che a fine visita si è commossa, mi ha colpita e mi ha fatto riflettere. Non mi spiego ancora come delle persone siano arrivate a fare cose così brutali, fuori dalla concezione umana. È toccante vedere che anche a distanza di decenni c’è ancora quell’emozione, quel brivido lungo la schiena che sale mentre si ascolta una così triste storia. Il campo è ancora oggi molto simile a com’era nel passato e questo è uno degli aspetti più interessanti. Quando si giunge in prossimità del campo, non ci si immagina che all’interno sia potuta avvenire così tanta violenza:
poi, però, entri e vieni sommerso dalle emozioni e dai sensi di colpa. Oltre alla piazza d’ appello, alla camera a gas e alla stanza dei nomi, che ti lasciano un grande vuoto dentro, una delle cose che più mi ha colpita è stata la “scala della morte” e il luogo in prossimità di essa, denominato “altura dei paracadutisti”, uno sperone roccioso da dove gli internati venivano fatti precipitare. Non erano solo le SS a uccidere ma erano anche i compagni di prigionia a farlo, perché non avevano scelta: in quel luogo, o eseguivi i comandi o venivi ucciso. Del campo di Gusen, invece, è rimasto solo un
memoriale. Lì ci hanno raccontato la storia di Piero Iotti, giovane antifascista di Sant'Ilario d'Enza, e ho riflettuto sul modo in cui alcune persone, sia per fortuna, sia per altruismo dei compagni, sono riuscite a salvarsi: questo fa capire che forse, in qualcuno, qualche sentimento umano era ancora presente. I campi di concentramento non hanno solo ucciso fisicamente delle persone, perché la ferita più grande, quella che ti rimane per tutta la vita, è quella psicologica. Tanti sopravvissuti hanno dovuto affrontare questo peso enorme, essendo stati spogliati della propria personalità e
dignità e alcuni non sono riusciti a sopportarlo.

Emma Malpeli, 3C “Panizzi”